Il Buon Samaritano

Questa parabola è la risposta di Gesù a un dottore della Legge che cerca di metterlo alla prova per verificare la sua fedeltà alla tradizione mosaica. Come sempre Gesù risponde alla provocazione in modo straordinario, l’altro dovrà ammettere l’evidenza della realtà. “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?” chiede il Signore. I libri dell’antico Testamento in maniera chiara e precisa avevano enunciato il principio assoluto della Legge divina: Amare Dio con tutte le forze, con tutta l’anima e con tutto il cuore e amare il prossimo come se stessi. Il secondo comandamento è connesso al primo poiché l’amore attiene alla natura di Dio. Scrive Luca: “Ma egli volendo giustificarsi, disse a Gesù: E chi è il mio prossimo?” Vuole giustificare quella sua domanda pretestuosa e superflua su come conseguire la vita eterna. Nell’antico Testamento il “prossimo” e’ il molto vicino nello spazio, e’ colui che è simile nel condividere i costumi sociali. Nel Levitico l’Eterno comanda al popolo: “Non farai vendetta e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso” (19:18), ma anche: “Lo straniero che risiede tra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto” (19:34). Il concetto di prossimo è circoscritto ed è relativo al mantenimento della coesione interna del popolo che condivide gli usi religiosi e obbedisce alle leggi di Dio. “Vi sarà un’unica legge per il nativo del paese e per lo straniero che risiede tra voi” (Esodo 12:49). Con questa narrazione che esprime un agire, una necessità di azione, Gesù ribalta l’attribuzione di prossimo riferendola non a chi riceve l’atto d’amore ma a chi lo compie, in tal modo, senza contraddire la Scrittura, rende palese che il concetto di prossimo non ha confini. Siamo noi il prossimo di chiunque incontriamo sul nostro cammino, di chiunque abbia un bisogno. Ancora una volta è uno straniero, un samaritano ad offrire il buon esempio, come la donna cananea, la donna sirofenicia, il centurione romano, la donna samaritana. Non i figli della carne ma i figli della promessa saranno il popolo di Dio, scriverà Paolo nella lettera ai Romani (9:8). Gesù loda il buon comportamento del samaritano e mette in luce la durezza di cuore del sacerdote e del levita che pure avrebbero dovuto sentire il richiamo di Dio alla compassione. Egli vuole suscitare nei giudei un sentimento di vergogna perché non hanno nel cuore i comandamenti di Dio e nel contempo un moto di amor proprio per essere il popolo eletto. È chiaro il senso della trasformazione che Dio vuole operare nel suo popolo: “Toglierò il cuore di pietra e metterò un cuore di carne” (Ezechiele 36:26). Egli aborrisce i rituali religiosi esclusivamente formali dei sacerdoti e dei leviti: “Voglio misericordia e non sacrifici” (Osea 6:6). Quando Gesù giungerà sulla terra proclamerà questo volere assoluto di Dio: “Siate dunque misericordiosi, come anche il Padre vostro è misericordioso” (Luca 6:36). Ogni passo, ogni gesto di Gesù è compassionevole, il suo sguardo è accogliente verso i peccatori, i malati, i bisognosi. Il samaritano ebbe compassione di colui che aggredito, giaceva nudo, ferito e sanguinante. “E, accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandoci sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo portò a una locanda e si prese cura di lui”. Era in viaggio, certamente per affari, ma non si preoccupò per se stesso, dono’ semplicemente il suo tempo e le sue cure a chi era inerme e bisognoso. Questa fu per lui la priorità. “Tutte le cose che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro, perché questa è la legge e i profeti” (Matteo 7:12). Gesù ci presenta l’amore per ogni altro essere umano ponendo un confronto con il nostro acceso egoismo, poiché il nostro primario e più naturale desiderio di autoconservazione ci spinge a soddisfare i nostri bisogni. Di facile e chiara comprensione e’ questo principio, ognuno di noi desidera gratificazione, condivisione, consolazione. L’amore per l’altro presuppone tuttavia attenzione e desiderio di conoscenza, la fatica e l’impegno del conoscere i bisogni specifici di coloro che attraversano il nostro cammino. Spesso facilmente applichiamo con tranquilla coscienza i nostri criteri di valutazione del bene ad altri. Dio ci ha dotati di una straordinaria bellezza, l’unicità e l’irripetibilità. Pur essendo simili in quanto umani, siamo anche diversi poiché l’anima è complessa e la storia di ognuno non ripete la storia di un altro. Qualcuno che è scoraggiato ha bisogno di essere scosso energicamente, qualcun altro invece ha bisogno ci dolce conforto. Qualcuno ha bisogno di tranquillità e di silenzio, qualcun altro di allegra socievolezza. Dare libertà è un atto d’amore, ma per qualcuno può essere un segno di indifferenza. Amare significa dare ed è l’azione che più di ogni altra ci assomiglia a Gesù Cristo, ma prima di dare dovremmo cercare di comprendere, con l’aiuto della divina saggezza, gli interrogativi e i bisogni spirituali che abitano nel cuore degli altri. “E il giorno dopo, prima di partire, prese due denari e li diede al locandiere, dicendogli: Prenditi cura di lui e tutto quello che spenderai in più, te lo renderò al mio ritorno”. Spesso diamo ciò che non ci costa nulla, o poco, non ciò che è necessario al benessere dell’altro. Amare è rinunciare a qualcosa, pagare un prezzo, come Cristo ci ha mostrato. Essere il prossimo non è una qualità ma il risultato di un agire. Era uno sconosciuto lungo la strada, un estraneo, quasi certamente un giudeo che non avrebbe neanche rivolto la parola al samaritano, nel quale però la compassione fu più forte di ogni altra considerazione. Spese tempo, energie e risorse economiche. La compassione ci stringe il cuore per il dolore dell’altro. L’amore non dipende dal merito ma esclusivamente dal bisogno, perciò Gesù ci insegna ad amare anche i nostri nemici. Così Egli ci vide, nudi, stremati e sanguinanti, aggrediti dai nostri stessi peccati e dai peccati del mondo, il nostro Dio tremendo e dolcissimo ci soccorse pietoso. Commuovono e ci inondano di gratitudine le parole che l’Eterno rivolge a Gerusalemme: “Nessun occhio ebbe alcun riguardo per te, avendo compassione di te; il giorno in cui nascesti tu fosti gettata in aperta campagna per il disprezzo che avevano nei tuoi confronti. Io ti passai vicino, vidi che ti dibattevi nel sangue e ti dissi mentre eri nel tuo sangue: Vivi! Si, ti dissi mentre eri nel tuo sangue: Vivi! Ti lavai con acqua, ti ripulii interamente del sangue e ti unsi con olio. Ti feci quindi indossare vesti ricamate…” (Ezechiele 16:5-6;9-10). E Gesù disse al dottore della legge: “Va’ e fa’ lo stesso anche tu”.